La lumaca di mare Elysia chlorotica non solo somiglia ad una foglia, ma è anche di un verde brillante ed è in grado di assorbire anidride carbonica e di restare viva per mesi senza cibo, almeno fino a quando il laboratorio che la ospita è ben illuminato.
Come esattamente questa nudibranco, chiamato comunemente elysia verde smeraldo, riesca ad ottenere l’energia solare di cui ha bisogno è una domanda che gli scienziati stanno facendosi da decenni, ma ora il puzzle delle ricerche sembra quasi completato e quello che ne viene fuori è davvero sorprendente: un ibrido animale-vegetale.
Secondo lo studio “FISH Labeling Reveals a Horizontally Transferred Algal (Vaucheria litorea) Nuclear Gene on a Sea Slug (Elysia chlorotica) Chromosome”, pubblicato su The Bulletin Biologica da un team dal Marine Biological Laboratory del Woods Hole, «La lumaca ruba i geni dalle alghe che mangia».
Secondo lo studio “FISH Labeling Reveals a Horizontally Transferred Algal (Vaucheria litorea) Nuclear Gene on a Sea Slug (Elysia chlorotica) Chromosome”, pubblicato su The Bulletin Biologica da un team dal Marine Biological Laboratory del Woods Hole, «La lumaca ruba i geni dalle alghe che mangia».
Gli scienziati del Woods Hole dicono che «Questi geni contribuiscono a sostenere i processi fotosintetici all’interno della lumaca e gli forniscono tutto il cibo di cui ha bisogno. È importante sottolineare che questo è uno dei soli esempi noti solo di trasferimento genico funzionale da una specie multicellulari all’altra, che è l’obiettivo della terapia genica per correggere malattie su base genetica nell’uomo».
Uno degli autori dello studio, Sidney K. Pierce, professore emerito alle università del South Florida e del Maryland, si chiede «Una lumaca di mare è un buon modello biologico per una terapia umana?» e risponde: «Probabilmente no. Ma capire il meccanismo di questo trasferimento naturale di geni potrebbe essere molto istruttivo per applicazioni mediche future».
Per confermare che un gene dall’alga V.litorea è presente nel cromosoma del nudibranco E. chlorotica , Il team ha utilizzato una tecnica di imaging avanzata e spiega che «Questo gene produce un enzima che è fondamentale per la funzione delle “macchine” della fotosintesi chiamate cloroplasti, che sono tipicamente presenti nelle piante e nelle alghe».
Già negli anni ’70 si sapeva che l’E. chloritica “ruba” i cloroplasti alla V. litorea – un fenomeno chiamato “Cleptoplastia” – e li incorpora nelle sue cellule digestive. Una volta all’interno delle cellule della lumaca i cloroplasti continuano a fare la fotosintesi fino a 9 mesi, molto più a lungo di quanto lo farebbero in un’alga. La fotosintesi produce carboidrati e lipidi, che nutrono la lumaca».
Per anni (e con molte polemiche scientifiche) si è studiato come la lumaca di mare verde riesce a mantenere questi organelli fotosintesi per così tanto tempo. A complicare le cose era stato un esperimento condotto da un team tedesco-olandese all’università di Dusseldorf . Infatti lo studio “Plastid-bearing sea slugs fix CO2 in the light but do not require photosynthesis to survive”, pubblicato su Proceedings of the Royal Society B il 20 novembre 2013, sottolinea che «Molti nudibranchi sacoglossan (Plakobranchoidea) si nutrono di plastidi di grandi alghe unicellulari. Quattro specie – chiamate specie long-term retention (LtR) – sono note per sequestrare i plastidi ingeriti all’interno delle cellule specializzate della ghiandola digestiva. Lì, i plastidi rubati (cleptoplastia) rimangono fotosinteticamente attivi per diversi mesi, durante i quali le specie LtR possono sopravvivere senza ulteriore assorbimento di cibo. La longevità dei cleptoplastidi è stato a lungo un rompicapo, perché le lumache non sequestrano nuclei di alghe che potrebbero sostenere la manutenzione del fotosistema. È opinione diffusa che le lumache sopravvivano alla fame mediante la fotosintesi cleptoplastica, ma le prove dirette a sostegno di questo punto di vista sono carenti».
Il team tedesco-olandese però aveva dimostrato che due plakobranchidi LtR, Elysia timida e Plakobranchus ocellatus, «incorporano 14CO2 in prodotti acidi stabile rispettivamente 60 e 64 volte più rapidamente alla luce che al buio» e che «Nonostante questa capacità di fissazione della CO2 dipenda dalla luce, sorprendentemente, la luce non è essenziale per le lumache per sopravvivere alla fame. Animali LtR sono sopravvissuti a diversi mesi di digiuno, al buio completo e nella luce in presenza dell’inibitore della fotosintesi monolinuron, tutto senza perdere peso più velocemente rispetto agli animali di controllo. Contrariamente alle opinioni correnti, i cleptoplastidi sacoglossan sembrano digerire lentamente le riserve di cibo, non una fonte di energia solare».
Ma ora Pierce dice che il nuovo studio cambia ulteriormente le cose: «Questo documento conferma che uno dei diversi geni algali necessarie per riparare i danni ai cloroplasti e mantenerli funzionanti è presente sul cromosoma della lumaca. Il gene è incorporato nel cromosoma della lumaca e trasmesso alla generazione successiva di lumache. Mentre la prossima generazione dovrà nuovamente assumere i cloroplasti delle alghe, i geni per mantenere i cloroplasti sono già presenti nel genoma della lumaca. Non c’è nessun modo sulla terra perché i geni di un’alga possano funzionare all’interno di una cellula animale. Eppure qui lo fanno. Permettono all’animale a fare affidamento sul sole per la sua alimentazione. Quindi, se succede qualcosa alla sua onte di cibo, ha un modo per non morire di fame fino a quando non trova le alghe da mangiare. Questo adattamento biologico è anche un meccanismo di rapida evoluzione. Quando si verifica un trasferimento di successo di geni tra specie, l’evoluzione può avvenire sostanzialmente da una generazione all’altra, piuttosto che su una scala di tempo evolutivo di migliaia di anni».
Fonte: http://www.greenreport.it/
Fonte: http://www.greenreport.it/